A EGREGIE COSE

Che siate appassionati di basket o meno, o in generale che siate appassionati di sport o meno, guardate il video che trovate alla fine dell’articolo, se avete dieci minuti. Li vale tutti.

Vedrete uno dei personaggi più carismatici degli ultimi 50 anni (in onda ora la docu-serie The Last Dance), uno dei più grandi competitor che lo sport abbia mai visto, vedrete sì, il più grande sportivo di squadra che lo sport abbia mai visto ma anche uno degli sportivi più aggressivi e spietati, un compagno di squadra a volte feroce, un uomo che sapeva essere molto duro, spigoloso e tagliente, a detta di molti che lo circondavano. Perso, dopo essersi ritirato, nel buio della negatività. Consumato – per sua stessa ammissione – dalla propria insaziabile competitività. A volte davvero dove la luce è più forte l’ombra è più nera.

Ebbene lo vedrete sciogliersi in lacrime. Vedrete i suoi occhi cercare consolazione, invano.

Questo forse può rendere l’idea, a chi ne conosca a malapena la magnitudine, di chi fosse Kobe Bryant. Ma, soprattutto, di quanto avrebbe potuto ispirare ancora, di quanto sarebbe potuto essere un riferimento non solo nello sport, ma anche al di fuori. Ché ormai non ha più senso parlare di lui, ma del suo esempio. E il suo esempio è stato ed è quello di dare tutto, di dare il cento percento per le proprie passioni, di ascoltare e farsi guidare dalla propria spinta interiore, di non lasciare nulla al rimpianto. Di non lasciare nulla alla pigrizia, né alla stanchezza, né alla paura, né al dolore.

Parliamo di un giocatore che ha giocato con e contro ogni tipo di avversità. Che in un periodo ha giocato e vinto partite (anche all’ultimo secondo, anche dopo essere tornato in aereo dall’udienza in tribunale) vivendo l’angoscia di una possibile sentenza penale pesantissima, anni di prigione. Un giocatore che ha giocato con ogni tipo di infortuni, dolori, malanni, dita rotte. Che è rientrato in campo a tirare due liberi con un tendine d’Achille strappato, quando altri avrebbero urlato in barella. Che è riuscito a risalire sulla cima del mondo dell’NBA, riportando i Lakers in finale nell’era post Shaquille O’Neal, ma ha perso contro gli eterni rivali Boston Celtics. E poi ha vinto due anelli di seguito, l’ultimo dei quali prendendosi la rivincita proprio contro i Celtics.

Parliamo di un giocatore che si era messo in testa di compiere un’impresa impossibile, cioè superare quello che era diventato, negli anni ’90, l’emblema stesso del Basket e della competizione, forse dello Sport.

Questo è l’esempio che lascia: offrire una dedizione totale, che sia al Basket, che sia allo Storytelling o alla propria famiglia e alle proprie figlie. Ognuno di noi lo applichi adattandolo a se stesso, se vuole. Per quanto riesca, chiaramente, perché è probabile che il livello estremo di forza di volontà di Kobe Bryant (si narrano nell’ambiente aneddoti surreali) sia qualcosa di molto difficilmente replicabile e altrettanto raramente eguagliato.

“When Kobe Bryant died, a piece of me died. And as I look in this Arena and across the Globe, a piece of you died.”

Nel memoriale della morte di Kobe e Gianna Bryant, dopo un bellissimo discorso di Vanessa Bryant, il più grande saluta per sempre la leggenda di Los Angeles.

Ora è tempo di lasciar riposare in pace gli eroi.

A egregie cose il forte animo accendono
L’urne de’ forti

2/24 2020

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