SU IMMAGINAZIONE E TEORIA DEL COMPLOTTO

In questo articolo, come nel blog tutto, non si ha la pretesa di essere rigorosi in ciò che si scrive. Se si cerca il rigore lo si può trovare negli articoli accademici e nella divulgazione.

Lo spirito ispiratore del blog non è infatti di stimolare domande, né tantomeno nel modo più assoluto di fornire risposte. L’idea è di condividere l’interesse per determinati argomenti e soprattutto il percorso che si compie nel tentativo di trovarne qualche tipo di comprensione. A dire che in questo blog non si cercano risposte rigorose (non ce ne sarebbero i mezzi, il tempo, né la voglia): si cerca invece di condividere il piacere del racconto che si costruisce e si vive nella loro ricerca, quand’anche esse, ammesso che si trovino, siano ritenute sbagliate o incomplete da comunità più affidabili e competenti.

Naturalmente, se non si condivide l’interesse per l’argomento, né si è interessati al percorso che si svolge nel tentativo di eviscerarne i concetti più profondi, ci si può sicuramente rivolgere altrove, a intrattenimenti ben migliori. Internet, come è noto, ne è piena.

Il pensiero complottista, che ci piaccia o no, appartiene a tutti noi: ognuno di noi interpreta la realtà che lo circonda in un modo che è sempre funzionale alle proprie convinzioni e ai propri bisogni.

Se ci pensiamo un attimo, prima della rivoluzione scientifica del pensiero un’interpretazione della realtà che ci vedesse costantemente protagonisti era la cultura comune. Oggi sappiamo che un fulmine che cade dal cielo non è altro che una scarica di corrente dovuta a un accumulo di cariche opposte. Tempo fa, si credeva che il fulmine fosse l’arma di Zeus, che scagliava sulla Terra per punire chi fosse andato contro il suo volere. Nel primo caso, noi siamo soli e senza dio. Nel secondo caso, siamo sì preda della rabbia di un dio, anzi del re degli dei, ma non siamo soli. Dio non è morto: dio è solo arrabbiato con noi perché siamo stati cattivi.

Se ci pensiamo un attimo, tutto ciò è molto strano: se qualcuno oggi dicesse che la caduta di un fulmine è dovuta all’ira degli dei o di uno degli dei delle religioni monoteistiche verrebbe preso per pazzo, mentre per molto tempo è stata la spiegazione comunemente accettata.

Il nostro modo di pensare quindi si è modificato. E’ diventato più letterale e meno simbolico. Un fulmine è un fulmine, e non cade per un motivo particolare, non è l’ira di nessuno. Non ha una causa antropica o antropomorfa. Sembrerebbe quindi che l’interpretazione simbolica sia una forma di pensiero inutile, o persino negativa. D’altro canto viene da pensare invece che forse il modo di pensare simbolico abbia un proprio valore, e non solo nel senso che sotto opportuni vincoli ci è stato comunque utile nel passato per sopravvivere ed evolvere. Verrebbe da pensare, invece, che l’immaginazione, persino il delirio, siano in grado di dare un tipo di interpretazione del mondo che altre forme di pensiero non riescono a cogliere e a restituirci. Vale a dire che come si può dare un’interpretazione simbolica e non solo letterale di un racconto, così abbia una qualche forma di valenza anche un’interpretazione simbolica del mondo stesso, e con ciò non si intende solo la sfera umana. Ma per ora ritorniamo in tema.

Il punto quindi è che ognuno di noi si costruisce un’interpretazione della realtà che lo circonda nel modo a sé più congeniale. I complottisti fanno la stessa cosa, ma in grande. Tuttavia l’ipotesi è che il complottismo e l’immaginazione siano accomunabili alla stessa forma di pensiero. Non è un caso che il delirio terrapiattista abbia prodotto un modello interpretativo della Terra e dell’evoluzione che assomiglia alle mitologie e alle geografie dei romanzi fantasy (giganti, montagne ghiacciate ai limiti del disco terrestre, ecc.).

In altri termini, il pensiero complottista tenta – per difesa – la negazione di una realtà che esista a prescindere da noi e dal nostro controllo, che possa potenzialmente ucciderci. I negazionisti del Covid pensano che il virus non esista, perché è molto più confortevole pensare che sia un’invenzione con cui siamo stati raggirati che pensare che esista una minaccia alla nostra sopravvivenza e alla nostra salute che non riusciamo ancora a controllare. I complottisti del Covid pensano invece che sia stato volutamente fabbricato (detto che non se ne esclude la possibilità), perché anche qui è meglio pensare che è qualcosa di cui potremmo liberarci da un momento all’altro, piuttosto che pensare che sia qualcosa che ignoriamo, perché ciò che non conosciamo costituisce una minaccia ben più pericolosa. In altri termini, meglio pensare che Mamma e Papà ci stiano facendo un brutto scherzo ma che abbiano la situazione sotto controllo, piuttosto che pensare che non sappiano che pesci pigliare.

Potremmo cominciare a pensare quindi che l’immaginazione, di cui si serve il complottista ma non solo, sia un tipo di pensiero che non si è sviluppato per garantire la sopravvivenza, perché invece tende piuttosto a metterla a rischio. D’altra parte, il pensiero più scientifico e razionale, che si basa sull’osservazione ma soprattutto sull’interpretazione letterale e non simbolica della realtà, sembrerebbe la forma di pensiero che abbia questa ragione evolutiva, cioè evitare la morte e conservare la specie.

Sembrerebbe allora che l’immaginazione sia inutile al fine della sopravvivenza, eppure l’abbiamo sviluppata. Ci si potrebbe fare due tipi di domande a questo punto: perché abbiamo sviluppato l’immaginazione e come abbiamo fatto. Usare degli argomenti evoluzionistici per rispondere alla prima domanda forse è sbagliato, perché l’idea che guida questa speculazione è che esistano in noi delle forze che prescindono dal deterrente della morte fisica e agiscono indipendentemente, e l’immaginazione è una di queste. Molte forme di delirio possono infatti portare alla morte, e il complottismo sul covid ne è un esempio. Altri esempi sono i deliri che danno la convinzione di poter volare: la forma di pensiero che spinge a un tentativo di volo è puramente onirica, immaginativa, e non apporta nulla alla mera conservazione della specie qui e ora, anzi la nega.

Ci sono anche diversi esempi illustri, menti immaginative come Tesla, che ha rischiato la vita più volte a causa dei propri deliri, e Gödel, morto di fame, a causa della convinzione delirante che gli venisse dato del cibo avvelenato.

Il punto quindi è proprio questo: forse non si possono trovare ragioni evoluzionistiche per un tipo di pensiero simile. Capire perché quindi abbiamo sviluppato l’immaginazione forse non è possibile adottando una filosofia di tipo scientifico. Dobbiamo accettare, quindi, che l’evoluzione preveda qualcosa che vada oltre la mera sopravvivenza della specie, ma che anzi la sopravvivenza della specie sia solo la base necessaria su cui si sviluppi qualcosa di ulteriore. E qui arriviamo al come.

Come abbiamo fatto a sviluppare l’immaginazione e soprattutto perché l’abbiamo sviluppata se costa così tanto in termini di rischio evolutivo?

Si dice che i mammiferi abbiano avuto un salto evolutivo perché accudiscono i cuccioli. La base per lo sviluppo dell’immaginazione potrebbe risiedere proprio in quel periodo della vita, non in senso lamarckiano, ma darwiniano. Un periodo in cui non ci si deve preoccupare per la propria sopravvivenza, cioè, potrebbe essere stato il supporto evoluzionistico per lo sviluppo di un pensiero che si possa permettere di interpretare la realtà in un modo favoloso e non letterale.

(continua…)

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